autoguarigione

Una ragione in più per avere gratitudine

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universo

La mattina suona la sveglia, ci alziamo, facciamo colazione, usciamo, andiamo a lavorare, torniamo, stiamo in famiglia, usciamo, andiamo a riposare. A volte stiamo bene, altre male; alcune soffriamo, altre ci divertiamo. Spesso, diamo per scontato che tutto sia normale: normale l’opportunità di svegliarci, normale vivere, ripetere il ciclo dei giorni e della vita.

Ma siamo veramente convinti che lo sia? 

Quando mi perdo a pensare a cose grandi, alla terra, alle sue montagne, i suoi deserti, i suoi sterminati oceani, mi rispondo che non lo è. Quando vado oltre e guardo le stelle, mi do la stessa risposta. Tutto, dalle cose più piccole fino al tentativo di visualizzare l’universo nella sua interezza mi da la stessa risposta.

Curiosamente questa riflessione mi è nata ponendo la mia attenzione su una grandezza che tutti consociamo: la temperaturaLa conosciamo quando sentiamo il freddo d’inverno e quando boccheggiamo per il caldo d’estate. La vediamo intorno a noi, ogni volta che vediamo il fuoco, l’acqua che bolle o il ghiaccio che si scioglie…la temperatura è un fattore che circonda le nostre vite, ogni giorno ed in ogni istante.

Se proviamo a pensarci bene, però, le condizioni di temperatura che consentono la vita (per lo meno quella umana) si trovano in una fascia ristrettissimaPuò sembrare che tra i -60 gradi che può raggiungere il nord della Russia e i 40 e più gradi che si possono trovare in alcuni deserti la differenza sia tanta…ma è veramente così? Scopro da questa tabella che l’oro fonde a 1064 gradi, il ferro a 1538. Secondo questo articolo del Corriere della Sera, la temperatura interna del nucleo terrestre arriverebbe addirittura a 6000 gradi centigradi. A temperature come queste ci disintegreremo all’istante. Ma andiamo avanti.

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Secondo quest’altro articolo di Focus il limite massimo di temperatura dell’aria a cui potremmo resistere noi adulti sono 149 gradi, pari alla temperatura di un edificio in fiamme. E la domanda viene spontanea: desiderereste vivere in un edificio in fiamme? Se anche la risposta fosse si, ho una brutta notizia: soccombereste comunque dopo dieci minuti. Un bambino, invece, come provano tristi casi di cronaca, soccombe a “soli” 49 gradi, quelli ad esempio dell’abitacolo di un’automobile parcheggiata in pieno sole.

E in tutto questo non ho ancora citato il freddo. Il seguente articolo sui cinque luoghi più caldi e più freddi della terra sostiene che la temperatura minima mai registrata sia stata -89 nella stazione Vostok, in Antartide. Inutile dire che, se anche l’uomo può sopravvivere con uno speciale equipaggiamento, a questa temperatura non esisterebbero alberi, né piante, né verdure. Niente agricoltura, niente pasta, pizza, melanzane alla parmigiana, risotti, tiramisù, vino e cornetti a colazione. Forse, qualche animale da cacciare, ammesso che sopravvivano. Siamo sicuri che sarebbe una bella vita? 

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Se poi volgiamo lo sguardo ai pianeti che ci circondano, secondo il sito Astronomia.com le temperature variano dai -223 gradi di Saturno ai 480 di Venere, umh…rispettivamente freddino e caldino per i miei gusti. E nonostante scopro grazie a La Stampa che la Nasa sogna di rendere abitabile Marte tramite un effetto serra indotto, per ora le temperature del pianeta rosso, che oscillano dai 20 ai -140 gradi, rimangono comunque proibitive. Tutto questo senza considerare che, data la pressione, la presenza di acqua allo stato liquido è impossibile: ovvero, se hai sete devi prima procurarti del ghiaccio e poi trovare un modo per fonderlo. Non è esattamente quello che si può definire confort

Insomma, tutto questo per dire che…dai meno 223 gradi di Saturno ai 6000 del centro della terra…siamo ben fortunati a vivere su un pianeta dove le fasce di temperature siano così adatte a noi. O meglio: siamo noi che esistiamo in quanto adatti ad esse. E questo, non dovremmo mai perderlo di vista. Non lo dovremmo fare quando ci lamentiamo per qualcosa che è andato storto, quando abbiamo litigato con un amico o con la nostra fidanzata e persino quando vediamo frustrate le nostre speranze o patiamo il dolore di una perdita. Tutto ciò che viviamo, bello o brutto che sia, è frutto di un vero e proprio miracolo. Può sembrare strana, banale o scontata come affermazione, ma trovo comunque innegabile che sia così.

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Se poi provo a viaggiare con la fantasia…mi ricordo quand’ero bambino. Mi affascinava studiare la deriva dei continenti, capire come da quella formazione che chiamiamo Pangea il mondo sia arrivato a possedere la forma attuale. Pensando a questo…proviamo ad immaginare per un secondo che tutto il mondo si sopraelevasse di 2000 metri. Qualcuno direbbe che emergerebbero altre terre ora sommerse, invece io vi propongo di immaginare uno scenario un po’ fantasy in cui ci sono scogliere a picco, alte due chilometri, e poi il mondo così come lo consociamo. La mia cittadina, Marina di Carrara (che è sul mare), diverrebbe un paese di montagna e vivrebbe per sei mesi all’anno sotto la neve. La città che tanto amo, Bogotà, passerebbe dai suoi 2700 metri che all’equatore le danno una temperatura gradevole di giorno e freschina di notte, a 4700: diventerebbe gelida e coperta dalle nevi eterne. L’Everesti sarebbe alto 10848 metri, impossibile da scalare. Proibitiva la vita in paesi quali Norvegia e Russia. E con altri duemila metri? Manco a pensarci.

Ma se andiamo al di là della sopravvivenza pura, il mio pensiero va a…colui che accompagna le mie giornate fin da bambino: il violoncello. È uno strumento realizzato con legni di abete, acero ed ebano. In un mondo coperto dai ghiacci, pur immaginando di sopravvivere solo attraverso la caccia e la pesca, troveremmo il legno per costruirlo? Niente violoncello, dunque. E niente contrabbasso, viola e violino. Allora, ammesso e non concesso che un mondo antartideo avesse comunque dato alla luce Bach o Beethoven, cosa avrebbero scritto senza tutti questi strumenti? Niente “Nona sinfonia“. Niente “Aria sulla quarta corda“…che mondo sarebbe?

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Vorrei ricordare, infine, che tutto è connesso. Ogni pesce, uccello, fiore, pianta, la frutta che ci piace, l’animale domestico che adoriamo…tutto è connesso con tutto: ogni creatura ha bisogno di cibo, di acqua e nutrimento che si produce solo in certe condizioni speciali. Le condizioni sul nostro bel pianeta, questo pianeta così ricco e bello, sono magiche. Dobbiamo essere grati per questo. Ed anche ricordarci che non sempre lo sono state. Ci sono voluti due miliardi di anni affinché la terra diventasse un luogo che ospitasse la vita. Per tanto tempo poi, hanno vissuto solo le stromatoliti. Poi sono arrivati i pesci, i rettili e infine i mammiferi, gli uccelli e tutto ciò che conosciamo. Ci sono state ere glaciali. Se guardiamo a ciò che produciamo in quanto umani troveremo tanto meraviglie, come cose orribili: gli orrori del nazismo, ma anche Michelangelo e la Cappella Sistina. Ma se invece guardiamo la vita stessa, a prescindere da cosa facciamo noi, se anche solo iniziamo osservare la sola temperatura sulla quale ho fantasticato un po’ in questo post, c’è di che stupirsi di quanto possiamo essere grati. Figuriamoci se prendiamo in considerazione tutto il resto. Insomma, come dicevo nell’ultimo articolo…è un motivo in più per svegliarsi la mattina e dire GRAZIE.

Arrivederci al prossimo Spiraglio. 

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Le foto di questo articolo sono tratte da: medicinacuantica.clecologicamentecorreto2.blogspot.itvivalascuola.studenti.iten.wikipedia.org

 

L’Ayahuasca, un libro e un incontro

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yagé, ayahuasca, juan camilo medina

Qualche tempo fa ho avuto la fortuna di imbattermi nel bellissimo libro “Yagé, El despertar de Leo”, sui rituali degli indigeni dell’Amazzonia, di Juan Camilo Medina, scrittore, guaritore ed esperto di sciamanesimo. Fin dalle prime pagine, dato quanto mi stava entusiasmando e commuovendo il libro, ho pensato che sarebbe stato fantastico incontrarlo ed intervistarlo.

Il libro capitò tra le mani mentre vagavo tra gli scaffali del “El Arcano” un’incredibile libreria di Bogotà, specializzata in testi esoterici. Amo questo luogo perchè gran parte della mia crescita personale iniziò proprio li. Li comprai il bellissimo “Mani di luce” di Barbara Ann Brennan, li comprai “La alegria de vivir” del lama tibetano Younguey Mingyour Rinpoché ed infine li conobbi Laura, una mia grande amica che ha in comune con me il segno zodiacale, l’ascendente, il fatto di essere musicista, di cantare, meditare, scrivere canzoni, praticare yoga e mille altre cose: una serie di segnali non indifferenti! E dato che i segnali (come mi insegnò “L’alchimista” di Paulo Coelho) vanno seguiti, decisi di tornare alla libreria trovandovi, appunto, questo libro sul Yagé, una potente medicina indigena nota anche come Ayahuasca. Non appena lo presi in mano sentii che possedeva un’incredibile forza magnetica, non sapevo spiegare esattamente cosa mi attraeva, ma sentivo che mi stava dicendo: “comprami!” Decisi di ubbidire e lo comprai.

Subito la prima scena ti trascina in uno degli inferni che sono costretti a vivere alcuni bambini qui in Colombia: il padre che si spara alla tempia di fronte a lui ed ai suoi fratelli riuniti per festeggiare il compleanno. Non avendo le possibilità di occuparsi di lui, la madre lo affida ad un orfanotrofio delle periferie di Bogotà, in cui per anni subisce ogni tipo di violenza e da cui scappa, ormai tredicenne, dopo aver ferito gravemente un “educatore” che voleva abusare di lui. Giunto al quartiere Las Cruces, dove spera di trovare la madre, scopre che questa si è tolta la vita gettandosi da un ponte. Inizia a quel punto a vivere per la strada, raccattando avanzi di cibo dalla spazzatura e diventando dipendente dal Bazuko, una terribile droga derivata dagli avanzi della lavorazione della cocaina. Trovandosi un giorno ad assistere a un furto ai danni di una studentessa universitaria, due criminali che la assaltano armati di coltello, vede inconsciamente l’opportunità per porre fine alla sua misera esistenza: si mette in mezzo per difenderla, ma finisce accoltellato ben diciassette volte.

Quando si sveglia, si ritrova però in una clinica di lusso. Nadeska, la ragazza a cui ha salvato la vita, è figlia di un importante medico: lo fa curare e per ben tre mesi lo visita tutti i giorni. Resasi conto della sua dipendenza dalla droga, Nadeska gli parla del Yagé e di come questa potente medicina abbia curato tante persone da malattie fisiche, psichiche e persino dalla dipendenza dalla droga. Inizia cosi un lungo viaggio in Amazzonia, il processo di guarigione e l’inizio di una nuova vita. Oggi Juan Camilo Medina ha 33 anni, è laureato, ha scritto due libri, è un esperto di PNL e da conferenze in tutto il paese.

Il suo percorso di vita mi ha commosso ed emozionato: nel suo processo di guarigione ho rivisto il mio, le ferite della scomparsa di mio fratello e di mio padre, che grazie a una nuova comprensione di me stesso e del mondo hanno iniziato a rimarginarsi. Mi ha aiutato a capire che dietro alle persone che vivono per la strada qui in Colombia c’è una storia, ci sono migliaia di storie, intense e tristi, storie simili a quelle dell’immigrato che pulisce i vetri al semaforo e che magari fa scocciare, a quella dell’africano che cerca in tutti i modi di vendere l’accendino ed a cui tante volte ho detto no, anche se quell’accendino avrei potuto comprarlo. Mi sono chiesto se veramente posso GIUDICARE chi è nato in una situazione più disagiata di me, perché grazie al racconto di Camilo ho visto chiaramente che sono le circostanze in cui uno nasce e cresce a determinare gli errori che si commettono nella vita.

Per tutto questo mi sono deciso a contattare Juan Camilo Medina. Non avevo la più pallida idea di dove iniziare, ed avevo pure un po’ di timore, ma ho deciso comunque di LANCIARMI. Ho iniziato a fare domande qua e là e dopo un po’ di insuccessi, tramite un amico, ho trovato un indirizzo e-mail. Ho scritto proponendo di realizzare un’intervista e dopo soli due giorni ho trovato la seguente, breve ma per me emozionante, risposta:

Ciao Elvio, ho letto il tuo blog. Certo, possiamo incontrarci.

Camilo.”

E cosi sono andato a Neiva, nella regione del Huila, nel sud della Colombia, dove Camilo attualmente risiede. Ho passato quattro splendidi giorni ospite nella sua casa in mezzo alla natura dove scrive e cura tramite il sapere ancestrale che ha appreso dai maestri della guarigione indigena, ed oltre all’intervista è nata tra noi una vera e propria inaspettata amicizia. Sono stati quattro giorni di risate, schiamazzi, riflessione, giri sulla moto per andare a visitare i suoi pazienti disseminati in tutti i quartieri della ardente Neiva, la cui temperatura non scenda mai sotto i 30 gradi. Abbiamo meditato insieme, siamo andati a tuffarci e nuotare nel fiume e sono stato pure invitato al compleanno del padre, a cui ho suonato un paio di canzoni.

Ma…un momento. Ho detto “padre”?
Si, ho detto padre. In realtà, infatti, la storia narrata nel libro è un racconto di fantasia.

Se provate a tornare indietro e rileggere questo post, vedrete che da nessuna parte ho scritto che i fatti sono accaduti a Juan Camilo. Un piccolo inganno per rispettare l’ordine in cui sono andate le cose: quando ho letto il libro (scritto in prima persona), ha ingannato anche me! Ed anche più di un giornalista, la cui prima domanda nelle interviste era: per davvero ti è accaduto tutto quello che hai scritto?

Non gli è accaduto, ma c’è un fondo di verità. Essendo stato adottato, il suicidio dei genitori è una metafora che rappresenta la morte del ruolo, la rinuncia al dovere e alla gioia che l’essere genitori comporta. Anche il racconto dell’orfanotrofio è basato su una terribile storia vera. Prometto di raccontare tutto molto presto. Ci sono due ore di materiale audio e video da ascoltare, tradurre e trascrivere: ci vorrà tempo ma ne varrà la pena: per otto anni Camilo ha frequentato gli sciamani (in Colombia chiamati “Taita) accumulando una conoscenza e una saggezza veramente profonda. Ne vedremo delle belle.

Da Neiva il mio viaggio è poi proseguito verso il Deserto del Tatacoa. Dopo una bellissima notte sotto un cielo incredibilmente stellato tornai a Neiva per poi andare a Girardot, città fluviale sul fiume Magdalena e da qui al paesino di Carmen de Apicalá, per poi rientrare a Bogotá. Ci tengo a scriverlo perché voglio che nessuna di queste esperienze vada perdute, per lasciare nero su bianco un promemoria che mi ricordi di parlarne.

Elvio

La libreria Esoterica “El Arcano” a Bogotà

Libreria esoterica

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Casa di Juan Camilo Medina a Neiva

Ecosana, Neiva, Colombia

La sala delle terapie

Ecosana, Neiva, Colombia

Ecosana, Neiva, Colombia

Il deserto della Tatacoa

Deserto del Tatacoa, Huila, Colombia

Girardot, la città sul Fiume Magdalena

Girardot, la città sul Fiume Magdalena

Tramonto a Carmen de Apicalà

Tramonto a Carmen de Apicalà

Io e Juan Camilo

Elvio Rocchi Juan Camilo Medina

Elvio Rocchi Juan Camilo Medina

Arrivederci al prossimo Spiraglio

Chi paga il copyright alla natura?

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Come si fa a viaggiare e contemporaneamente scrivere un blog?

Se viaggi non hai tempo per scrivere e se scrivi non hai tempo per viaggiare. Se provi a fare un po’ e un po’, ti sembra di non riuscire a fare nessuna delle due. Forse bisognerebbe sdoppiarsi: un te stesso viaggia e l’altro scrive. Bella idea eh? Ma come si fa? E ammesso che uno ci riesca, una volta sdoppiato, al tuo Alter Ego scriba, cosa gli fai scrivere? 

Le idee che mi passano per la testa sono tante e tanto hanno in comune con la Colombia: numerose come i suoi chicchi di caffè, gustose come la loro aroma, variegate come i suoi stili musicali, variopinte come i colori delle sue case e brulicanti come le formiche che oggi saccheggiavano la carcassa di uno scarafaggio. Non vi aspettavate quest’ultima similitudine? Beh, nemmeno io. “E’ uscita così” un po come “così” sta uscendo questo post, mentre seduto in un caffè, io non pensavo a te….ooops, scusate, mi sono distratto, mentre seduto in un caffè, dicevo, scrivo lasciando che le parole seguano il loro corso, libere come l’acqua del fiume in cui mi sono tuffato oggi, brillanti come le stelle di qualche sera fa a Villa de Leyva, sciolte come lo zucchero che rende meno amaro questo espresso che sto bevendo. C’è l’espresso pure lì? – qualcuno si chiederà – beh, non dappertutto e non sempre, ma si trova. E quando si trova, è fantastico. Il caffè colombiano, non ascoltate chi dice il contrario, è il migliore del mondo…

…e già che ci sono lascio scorrere pure le immagini. Ecco cosa sto mangiando in questo istante:

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Buone eh? Yum, yum, sono galletas oreo. Vi presterei il mio palato per farvele assaporare ma non saprei come fare: un po’ come per il fatto di sdoppiarsi. Eventualmente, se qualcuno mi spiega come sdoppiarmi gli presto volentieri il palato per sentire las galletas oreo rebosadas.

Insomma, chi mi conosce sa che sto tergiversando e che in realtà voglio raccontare qualcos’altro, ma perchè affannarsi? Del afàn solo queda el cansancio dicono qui, cioè della fretta ti rimane solo la stanchezza, lo stress che produce…quindi dai, voglio “stupideggiare” ancora un po’. Oggi, infatti, ho stupideggiato non poco, come dimostra questo video:

L’ha filmato un simpatico gringo di nome Dove. Ebbene si, si chiama Colomba (o forse Piccione?). Ed a proposito di volatili, che ne dite di questa simpatica Guacamaya? 

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Ho intrattenuto con lei un’interessante conversazione che ora vi faccio ascoltare. E’ stata un po’ laconica perché la inibiva il fatto di essere ripresa. A telecamere spente si è lasciata andare decisamente di piu…

E dopo questo dialogo (…non vi svelerò ciò che mi ha poi rivelato in privato, hehehe…) è giunto il momento di passare a quella cosa che volevo scrivere, cui accennavo poco fa. So che con questi discorsi, perifrasi, pennuti e voli pindarici vi ho trainato da un’altra parte, so che quello che sto per scrivere potrebbe sembrare un cambio d’atmosfera piuttosto brusco, ma dai, in fondo questa è la vita: un attimo prima c’è il sole, un secondo dopo la pioggia, un istante prima ridi, quello dopo rifletti. Quindi, cosa vi sembra di vedere in questa foto? Piante che crescono in un prato? O su un pendio scosceso?

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Si, sembrano pianticelle che stanno crescono su un pendio….ma se ci allontaniamo un po’…

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…scopriamo che non é né un prato né un pendio, bensì un tronco d’albero ormai morto. Può sembrare qualcosa di assolutamente “normale”, eppure, trovandomici di fronte, l’ho contemplato in silenzio ed ho capito che mi trovavo di fronte a un grande insegnamento. Ho lasciato fermare i pensieri per ascoltare meglio la grande saggezza che questa scena mi stava comunicando. Il messaggio, più o meno, lo potrei riassumere così: la natura non spreca, non disperde, sa come riutilizzare e far rivivere le cose e ci insegna come farlo. 

In pratica questa immagine riassume gli insegnamenti del corso di Permacultura: tutto si ricicla e si riutilizza, persino un tronco morto può convertirsi in terreno fertile e tornare ad ospitare la vita; ed è pure un’esempio di come riorganizzare gli spazi senza progettarli o, forse, con una progettazione magica che non possiamo comprendere ma solo ammirare. Credo che il detto zen ogni fiocco di neve cade là dove deve cadere, si riferisca proprio a questo…

Inoltre, mentre osservavo l’immagine, ho percepito che noi esseri umani non inventiamo bensì semplicmente prendiamo esempio dalla natura. Non è forse questo un ottimo esempio di giardino verticaleNon mostra in modo ottimale come si possa riciclare, riutilizzare, riqualificare lo spazio e come avvenga la rigenerazione del suolo? 

Recita la canzone Grandine dei Marta sui Tubi l’arte non paga i diritti d’autore alla realtà”, ovvero: la realtà fornisce spunti a cantanti, poeti, artisti, semplicemente mostrandosi com’è e senza volere nulla a cambio. Mi sembra che valga anche in questo caso: nessuno paga il copyright alla natura, che offre gratuitamente le sue splendide idee.

Guardando quell’albero, ho compreso pure che nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma non è una formula matematica, e che la morte è un passaggio tra due aspetti della vita, una sola, unica, grande vita che cambia solo la forma in cui si manifesta. Mentre pensavo a tutto ciò, la guacamaya ha cacciato uno dei suoi urli e mi ha fatto strappato una risata, ricordandomi che niente, neppure questi pensieri, vanno presi troppo sul serio.

Quindi chiudo il ciclo tornando all’inizio: ho tante idee e non so quali raccontare; oggi ne ho raccontate alcune. Presto scriverò di uno splendido libro che ho letto sui rituali degli indigeni dell’Amazzonia. E’ probabile che uno dei prossimi Spiragli racconti proprio di questo libro…magari lo commissiono al mio alter ego scriba.*

Nel frattempo vi abbraccio e vi saluto con l’immagine, ritratta da ancora più lontano, che ha ispirato questo post. Arrivederci al prossimo Spiraglio.

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Elvio

Un mondo migliore è possibile? CLARO QUE SI! (Permacultura, 2)

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Permacultura, Villavicencio Mango secolare

E’ veramente possibile un mondo migliore? Che domande….ma certo che si!

Sento che questa domanda è indispensabile dopo l’ultimo post dedicato alla Permacultura ed all’esperienza che ho vissuto al Proyecto Gaia un bello spazio che si trova nelle grandi regioni dell’interno colombiano. Apro con la foto di un albero di Mango secolare, che mi sembra un buon simbolo di come la natura possa diventare maestosa, quando la si lascia seguire il suo corso… 

Una volta rientrato a Bogotà e preso possesso della mia nuova camera in un appartamento condiviso con Laura e Maria, due simpatiche ragazze colombiane, una traduttrice e l’altra giornalista (e con la cucciola Molly!) sentii parlare di un corso di Permacultura nella fattoria El clavelito a Villavincencio, (da li la foto del mango) a tre ore di viaggio all’oriente di Bogotà.

Puntata la sveglia alle cinque, preparo l’immancabile caffè, mi incammino verso la Calle 26 alla ricerca di un bus per il Terminal de Transporte. Giunto al Terminal (ancora addormentato) faccio in tempo a bere un altro Tinto (caffè in versione colombiana, piu allungato rispetto a quello italiano, ma assolutamente gustoso) e poi via sul primo autobus! Villavicencio è situata a soli 400 metri sopra il livello del mare, ha un puro clima equatoriale, caldo, umido, pieno di vita (e zanzare). Arrivato in città ho preso un taxi e mi sono diretto verso la fattoria, ma la corsa è terminata a metà tragitto: poco più avanti i conducenti degli autobus locali stavano manifestando ed avevano bloccato il traffico….

…la polizia continuava a sconsigliarmi di passare dato che “sono straniero”, “è pericoloso”, etc. ma per come conosco la Colombia (e dato quello che il mio istinto mi suggeriva) ho reputato che la situazione non fosse rischiosa. Cosi, dopo un po’ di bonaria ma testarda insistenza uno degli agenti ha fermato un furgone che mi ha portato fin dove era possibile arrivare. Sul luogo la situazione era tesa: conducenti da un lato e polizia dall’altro, urla, grida, minacce, manganelli in mano…

…zaino in spalla, cuffie in testa, musica a palla, aria del “dai, che sono uno tranquillo” passo indenne in mezzo ai due schieramenti e mi dirigo al Clavelito. All’arrivo, i ragazzi mi hanno accolto con grandi urla e acclamazioni. Stavano facendo un cerchio per giocare, socializzare, una bella pratica che fanno prima di iniziare le attività. Questo tipo di giochi fanno parte della  ritualizzazione, una bellissima scoperta (o forse ri-scoperta?) di cui, prima della fine del post, voglio parlare.

Permacultura, orto sinergico

Ed eccoci al lavoro (io non sto lavorando solo perchè sto in quel momento stavo scattando la foto…non fate illazioni…) La prima parte della giornata prevedeva la costruzione dell’orto a forma di spirale, il quale seguiva i principi dell’agricoltura sinergica: combinare tra loro le piante in modo che possano aiutarsi a vicenda e separare la zona coltivata da quella in cui cammina, per mantenere il suolo soffice e permettere alle radici, e all’acqua, di infiltrarsi liberamente.

Tra gli interessanti sistemi permaculturali già attivi al clavelito c’è un sistema di docce con purificazione dell’acqua grazie alle radici del “circolo di banani”:

Permacultura, purificazione acqua con le radici

Ricordate quello che dicevo della Permacultura? Risparmiare risorse, usarne meno per produrre di piu? Ecco un esempio: al posto di produrre acque grigie inquinanti che vanno ad un depuratore che consuma energia, guardate cosa si sono inventati…

Usano acqua del pozzo (non arriva da nessun acquedotto), la purificano con le radici dei banani, danno da bere agli alberi con le loro (nostre!) docce e gli elementi che si sciolgono nella terra producono banane piu grandi di quelle degli alberi che non stanno vicino alle docce, come si può vedere qui…

casco di banane

L’altra risorsa che utilizzano è il bagno secco, un bagno che non solo non utilizza acqua ma mischiando opportunamente cacca e segatura e lasciando i microrganismi compiere il loro lavoro produce un ottimo concime… di cacca umana! So che state pensando CHE SCHIFO ma…niente affatto!

La separazione di urina da una parte e di feci dall’altra fa si che il bagno non produca odori sgradevoli. Inoltre, dopo alcuni mesi…la cacca si converte in terriccio, scuro, inodore e fertile. Fate attenzione a una cosa: anche per me l’idea di usare un bagno senz’acqua non è stata semplice….e so che a molti di voi stanno salendo brividi lungo la schiena, ma avendolo provato posso assicurare che non c’è niente di sgradevole. Grazie a una magistrale lezione che ha tenuto Fercho, uno dei fondatori di questo gruppo (e che ci ha esortato a superare la “cacca-fobia”) sono ora ferrato sull’argomento. Il bagno secco non spreca acqua, non inquina e non richiede costosi impianti di purificazione. Inoltre in molte città, soprattutto qui in Sud America, gli impianti non esistono e gli escrementi vengono scaricati direttamente nei torrenti, nei fiumi e nei mari. Vale la pena ricordare anche che di tutta l’acqua presente sul pianeta solo il 2,5% è acqua dolce e solo l’1% di questa è potabile. Dunque, dice il buon Fercho, perchè defecarci dentro? Ma so che molti di voi non vedono l’ora di cambiare argomento, quindi passiamo al tema successivo…

…che è il recupero del suolo. Sempre di piu sulla faccia della terra ci sono suoli che hanno perso la loro fertilità. Col compostaggio caldo è possibile, a partire da semplice materiale organico, produrre nel giro di poche settimane, una terra miracolosamente fertile.

Villavicencio rigenerazione suolo

Eccoci all’opera! Si tratta di creare strati di foglie, legna, humanaza…ma tranquilli, si può fare anche con sterco di origine animale (ehm…non animali umani intendo) e terra. Si soprappongono gli strati praticando un buco nel mezzo affinchè l’aria possa circolare. L’ammasso di elementi organici inizia a produrre calore e dopo soli 20 giorni si ottiene terra pronta per seminare e trapiantare. Non si compra terriccio, non si buttano foglie e sfalci, si produce terra fertile per zone che non lo sono più.

In questi campi di lavoro la sera, dopo la cena (vegetariana) ci si ferma a chiacchierare. Tra i miei compagni ci sono due fratelli di Bogotà che hanno deciso di “mollare” la stressante vita cittadina per far rivivere la fattoria dei nonni, rivitalizzando terre che altrimenti sarebbero andate perdute.

Villavicencio io, david e rolando

David e Rolando, insieme al loro terzo fratello, stanno facendo un importante lavoro di dialogo con i contadini della zona, promuovono lo scambio, il baratto, la mentalità cooperativa e per quanto mi hanno detto, nonostante la difficoltà legata a cambiare le proprie abitudini, i “vicini di campo” non sono indifferenti alle loro proposte, soprattutto da quando il loro fratello ha iniziato gratis a dare lezioni di inglese e francese ai bambini del paese.

La mattina dopo, sveglia alle sei e doccia in mezzo ai banani:

Villavicencio doccia mattutina

Subito dopo colazione e momento di condivisione in cui si decidono le attività della giornata. O forse, piu che “deciderle” ci si prende un momento per riflettere, e questo fa parte della ritualizzazione cui accennavo prima. La seconda giornata è dedicata alla auto-produzione dei saponi. Abbiamo visto due metodi, uno utilizzando la soda caustica come base per il sapone e l’altro utilizzando glicerina vegetale.

Villavicencio laboratorio saponi 3 Villavicencio laboratorio saponi 2

In questo video possiamo vedere la Prof. Carolina che dopo aver mischiato la soda con il grasso vegetale spiega come avviene la reazione:

Ed ecco il risultato del laboratorio: bello, profumato ed ecologico, il mio primo sapone fatto a mano, fatto di glicerina vegetale, olio di cocco ed olii essenziali.

Permacultura, sapone fatto a mano

E finalmente è arrivato il momento della ritualizzazione.

Spesso, nel nostro mondo, le cose che facciamo mancano totalmente di un aspetto “rituale”: andiamo a lavorare, arriviamo, iniziamo. Vogliamo studiare? Prendiamo il libro, studiamo. Abbiamo fame? Cuciniamo, ci sediamo e (magari con la TV accesa) mangiamo. Persino in lavori artistici come il mio, la musica, c’è chi se la vive in modo freddo ed asettico: studi i brani, arrivi in sala prove e…zac! Inizi a suonare cosi come sei, senza aver staccato dalla giornata che hai alle spalle.

La permacultura insegna anche a recuperare l’importanza del rituale: qualcosa di molto antico che gli indigeni di questo paese ancora praticano.

Prima di iniziare un’attività, che sia lavorare la terra, potare gli alberi o preparare il cibo, ci si prende un tempo per condividere e magari per ringraziare. E’ splendido: iniziare le attività dopo aver fatto una ritualizzazione conferisce alle cose un’altra energia, tutto scorre piu fluido, tranquillo, la comunicazione migliora, tutto diventa facile. Del resto, persino le squadre sportive hanno i loro rituali, che guarda caso spesso avvengono in cerchio, e per quanto si tratti magari solo di gridare uno slogan, credo che questi ci mostrino come i rituali trovino un modo per sopravvivere persino nella nostra frenetica civiltà contemporanea. Chi pratica arti marziali o yoga sa bene che ogni lezione inizia con una formula rituale: fare il salutocantare l’Om. Anche la nostra messa inizia e finisce con formule rituali, cosi come il semplice dire “buon appetito” prima di mangiare. Dopo questa esperienza voglio impegnarmi a ritualizzare di più le mie attività quotidiane.

Adesso credo sul serio che la Permacultura, oltre a un modo più civile e sostenibile di vivere, sia anche una soluzione a molte delle inquietudini contemporanee: può aiutare sul serio tante persone che non si riconoscono più e non stanno bene nel mondo in cui viviamo. Come ha scritto la mia amica Irene nel suo bellissimo Blog bisogna passare da “una visione competitiva e di scarsità ad una cooperativa e di abbondanza“.

Vi ringrazio per la pazienza di aver letto questo lunghissimo post e come al solito concludo con una foto. Una foto che in qualche modo riprende i concetti e le idee della sostenibilità, di una vita piu sana, piu rispettosa della natura, piu equilibrata, salutare…. quale potrebbe essere, vediamo…ah si, un’idea ce l’ho… …ma si, signore e signori, amiche ed amici ecco a voi il nostro nuovo amico….il BAGNO SECCO!

Permacultura, bagno secco

Arrivederci al prossimo Spiraglio.

Elvio

La vita è ciò che ti accade mentre stai facendo altri progetti

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“La vita è ciò che ti accade mentre stai facendo altri progetti”

(John Lennon)

 

Mi ha sempre emozionato questa frase perché più di una volta la mia vita mi ha mostrato quanto sia vera, ed è sorprendente come anche in Spiragli di Luce, persino in questo stesso Spiraglio posso trovarne conferma.

Iniziai a scrivere nel mese di ottobre per raccontare i nove mesi in cui avevo vissuto in Colombia. Volevo mettere insieme una serie di racconti per farli confluire in un libro o magari raccontare la mia esperienza per il puro gusto di raccontarla, come diceva De Andrè : per la stessa ragione del viaggio, viaggiare.

Dopo un paio di mesi sentii però l’esigenza di tradurre in spagnolo i primi post pubblicati. Tutto era nato in Colombia, tutto era nato mentre comunicavo e persino pensavo in spagnolo, mi sembrava che le mie stesse emozioni prendessero forma in questa lingua : come non includerla dunque nei miei scritti?

E fu così che, anche se inizialmente non l’avevo previsto, nacque Reflejos de Luz.

Fin dai primi post feci una bella e inaspettata scoperta : non mi riconoscevo più in quello che avevo scritto due mesi prima. Anche se i ragionamenti di fondo erano ancora convincenti, qualcosa nello spirito stesso delle parole non risuonava più dentro di me. E così capii che tradurre significa innanzitutto rivivere, o forse qualcosa di più: in un certo senso era come se le idee espresse nella versione originale avessero preso vita propria, ribellandosi alla forma originaria che avevo impresso loro. Così, anche se non l’avrei mai detto, tradurre in spagnolo mi ha spinto a tornare indietro e cambiare qualcosa qua e qualcosa là anche in quelli in italiano. Questo sgambetto che le mie stesse parole mi hanno fatto è appunto accaduto mentre facevo altri progetti. Ma c’è un’altra notizia ancora più inaspettata di questa.

Ho preso la decisione di tornare in Colombia.

Quando ho iniziato a scrivere il blog non me l’aspettavo, non l’avevo previsto. Ho iniziato a raccontare del mio primo anno passato in Colombia pensando di avere un sacco di tempo per farlo, ma poi la vita mi ha dato (e mi sono dato) la possibilità di ripartire. E io l’ho accolta.

Se devo essere sincero, pochi giorni dopo il mio rientro in Italia me la sarei data a gambe levate. Non mi riconoscevo più nel mio paese, nella disillusione cronica di alcuni, nella chiusura di altri, nell’italica attitudine a criticare tutto e pure nell’abitudine a lamentarsi sempre e comunque. Inoltre le persone mi chiedevano di continuo“perché sei tornato?”, domanda in genere accompagnata da sguardo incredulo, scuotimenti di testa e una malcelata delusione nel loro tono di voce. Eh già, alcuni sembravano più delusi che contenti di rivedermi. Forse per nove mesi avevo incarnato il loro sogno di “fuggire” o forse è semplicemente più facile capire chi parte per non tornare di chi parte e poi torna…chi lo sa! So che in quel momento mi sentivo più respinto che accolto, la voglia di fuggire era tanta. E invece ho scelto di restare. Credo che la vita sia un’opportunità troppo meravigliosa per scappare: io ho preferito combattere e vederci chiaro. Se riparto – mi dicevo – è perché voglio partire, non perché scappo da qualcosa.

E come per magia sono riuscito a farmi nuovamente piacere l’Italia. Mi ha aiutato la musica, il kung fu, l’inatteso e bellissimo rapporto col mio amico Francesco, i paesaggi, viaggiare in moto nel nostro bellissimo Sud, i sorrisi, la Sicilia, coltivare l’orto, le sagre e chi più ne ha più ne metta. Ora che ho fatto nuovamente pace col nostro bel paese sento che un ciclo si è chiuso e sono pronto a ripartire. Preferisco partire con un pizzico di nostalgia che andarmene deluso. Un po’ come quando ti alzi da tavola con un briciolo di appetito: non hai il mal di pancia e magari più tardi ti viene voglia di gustare un altro pasto.

Tutto questo mi fa capire come ci possiamo scervellare anche ventiquattro ore al giorno a fare calcoli, progetti e cercare di prevedere le cose…ed è pure giustissimo farlo, ma dobbiamo ricordarci che mentre lo facciamo la vita ci accade. Mentre facevo il progetto di scrivere dei mio primo viaggio è accaduto di partire di nuovo.

Non so se c’è una vera e propria morale da trarre, ma se qualcuno ha letto il primissimo post, il Primo Spiraglio sa che la decisione di scrivere un blog è stata sofferta: ci ho pensato a lungo prima di decidermi. Avendo aspettato così tanto adesso “mi tocca” interrompere il racconto. Se avessi iniziato prima, senza tentennare, avrei raccontato di più e non avrei dovuto premere il tasto “stop” giusto poco dopo aver iniziato.

Ecco forse allora che cosa mi ha insegnato tutto questo: se sentiamo che è giunto il momento di fare qualcosa per noi importante facciamolo subito, senza attendere né rimandare.

Esiste solo un momento giusto per iniziare un’attività che desideriamo intraprendere: quel momento è adesso.

Quindi se qualcuno mi sta leggendo mentre tentenna, rimanda o non è sicuro…caro miei fidatevi, il momento è ORA.

Se questa cosa che volete fare non dovesse andare, tranquilli! Ci penserà la vita a farvelo capire. Più che “non andare” credo che vi dirà come correggere il tiro, così come la mia idea di scrivere, bella sulla carta, non era completa finché non ho capito prima che volevo scrivere anche in spagnolo, e poi che era giunto il momento di rimettermi in viaggio. Se agiamo è la vita stessa che ci indica come proseguire, se invece continuiamo a procrastinare le togliamo alla l’opportunità di farci da maestra.

Qualsiasi sia la tua idea, che sia intraprendere un nuovo progetto, fare un viaggio, cambiare lavoro, parlare col tuo compagno o compagna di un problema che ti assilla, chiedere scusa a qualcuno, perdonare, dare ai tuoi genitori l’abbraccio che da anni sogni di dargli o dirgli il “ti voglio bene” che da anni sogni di dirgli…il momento magico per farlo non è tra un anno, né tra un mese, né domani, è adesso.

Dato che ormai ho messo nome e cognome mi prendo la piccola soddisfazione di mettere una foto che per ora non avevo voluto mettere. Me la scattai nel bellissimo paesino chiamato Salento, nella regione di Antioquia, Colombia, dove coltivano il caffè. Un momento di speciale gioia, come quella che ho ora premendo il tasto “Pubblica”. Grazie per avermi letto.

elvio rocchi spiragli di luce

Arrivederci al prossimo Spiraglio.

Intermezzo : perché difendo le ragazze italiane rapite in Siria

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Greta e Vanessa, volontarie italiane rapite in Siria

Nell’ultimo Spiraglio ho finito di raccontare il mio primo mese di viaggio in Colombia, terminato col rientro a Bogotà. Nei prossimi si entrerà nel vivo di una serie di scelte e avvenimento che hanno dato per sempre una svolta alla mia vita…il desiderio di fermarmi e l’occasione di farlo. Oggi però mi sento di fare una pausa in questo racconto per dire la mia sulla vicenda di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, le due volontarie italiane rapite e poi liberate in Siria. Intervengo in ritardo forse perché sono pigro e forse perché credo che buttarsi nella mischia nel momento in cui gli animi sono infiammati ottenga il risultato di gettare benzina sul fuoco anziché quello di calmare le acque. Dato l’argomento insolito per il blog, lo affronterò con una forma insolita, procedendo per punti ad esaminare gli argomenti via via usati contro le due ragazze :

1 – “avrebbero potuto fare volontariato a casa loro/da un’altra parte/in una maniera diversa” Può darsi. Ma allora aboliamo Medici senza frontiere, Emergency, Greenpeace e ogni organizzazione umanitaria che operi al di fuori delle frontiere nazionali. Sarebbe un po’ come dire al medico : se vuoi salvare vite umane fai il pompiere, così non rischi di prenderti malattie, per poi dire al pompiere : se vuoi salvare vite umane fai il medico, così non rischi di morire carbonizzato in un incendio. Credo che bisogna cambiare il modo di ragionare da “alternativo“, valutare due scelte come “opposte” basandosi su criteri di meglio/peggio a “integrativo“, tutto coopera e tutto serve. Serve il medico come il pompiere, serve il volontario sotto casa, come quello che va in Siria, in Angola o in Iraq.

2 – “se la sono cercata” Anche chi fuma si cerca il cancro al polmone, così come chi mangia in modo sregolato si cerca malattie cardiovascolari. La domanda è : glielo direste a un vostro parente? Gli direste : beh, fumavi…se hai il cancro te la sei cercata! Inoltre : se Madre Teresa fosse stata sequestrata/uccisa/si fosse ammalata, si sarebbe potuto dire “se l’è cercata“? Questo è collegato al punto 1 : perché andare a Calcutta? Non poteva starsene a casa sua?

3 – “sono criminali, amiche dei terroristi” Non è così semplice : in Siria è in corso un massacro e il governo di Assad ha già ricevuto sanzioni da paesi di mezzo mondo. Senza dubbio tra i combattenti ci sono dei terroristi, ma è altrettanto vero che ci sono pure persone che si difendono e combattono per la libertà. La realtà delle cose è spesso più complessa di come appare : il mondo non si divide automaticamente in cose “giuste” e “sbagliate” né tanto meno in “buoni” e “cattivi

4 – “perché liberare loro? Liberiamo i Marò”Perché coltivare i pomodori? Coltiviamo le carote!“…avrebbe senso? Come già detto nei punti 1,2,3 bisogna smettere di ragionare tra due alternative ma provare ad avere una visione più ampia, in cui le cose non si escludono a vicenda.

5 – “perché pagare un riscatto quando si potrebbero investire i soldi nella scuola o nella sanità?” Dopo la distruzione sistematica della finanza pubblica del nostro paese attraverso la corruzione, le tangenti, i favori ai mafiosi, il sistema clientelare, i privilegi della casta, le consulenze pagate a peso d’oro, le pensioni d’oro, i regali alle banche, la ricostruzione militarizzata dell’Aquila, etc. alcune fra le persone che hanno votato i politici che hanno fatto tutto questo improvvisamente si svegliano dal loro letargo ventennale e scoprono che i soldi di un riscatto per salvare due vite umane sono fondi sottratti alla scuola pubblica. Qualcosa non mi torna….

6 – “hanno fatto sesso consenziente con i guerriglieri” È una bufala.

7 – “sono delle troie” Quindi il problema vero non sarebbe né dove né come fare il volontariato, bensì le abitudini sessuali di queste ragazze? Questo genere di commento, accompagnato talvolta da centinaia di “Like” la dice lunga su come stiano messe certa persone riguardo alla considerazione del sesso, della libertà sessuale, della libertà della donna nel medioev…. ops….pardon, nel 2015.

8 – punti dall’1 al 7 detti da delle donne È ovvio che una donna abbia diritto di criticarne un’altra, ci mancherebbe. Ma in un’epoca in cui l’emancipazione femminile è così importante, se i commenti crudeli contro queste due ragazze che rischiavano la vita mi facevano orrore, i commenti contro di loro fatti da donne, me ne hanno fatto anche di più.

Per concludere, voglio aggiunere che sull’oppurtunità di pagare un riscatto, soprattutto se questo finisce in mani sporche di sangue, sarebbe importante avviare una riflessione. Ma credo che anche tra l’essere contrari a questo tipo di soluzione e l’offendere o augurare la morte a due ragazze ventenni passi una bella differenza. Personalmente, non credo che alla loro età avrei avuto il coraggio di andare in Siria in una situazione di guerra, quindi da amante del viaggio e da persona convinta che la vita vada vissuta cercando di andare oltre i nostri limiti, ammiro e stimo Greta e Vanessa e sono contento che siano state liberate. Come in altri Spiragli chiudo con un tramonto che fotografai una sera di agosto nei dintorni di Trapani, Sicilia. Al tramonto caldi e densi spiragli di luce danno spazio e possibilità di riflettere sulla giornata che è appena passata. Lascio questa immagine come buon auspicio di riflessione su questa storia, perché possa servire per imparare e non per insultare, per migliorare e non per odiare.

Arrivederci al prossimo spiraglio.

tramonto in Sicilia

Sulla Vita e sull’Amore (la lunga strada verso i Caraibi, Terza Puntata)

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Un saluto di cuore e bentornati, mi auguro che abbiate passato delle buone feste e che l’anno sia iniziato nel migliore dei modi.

Innanzitutto mi scuso per questa assenza di due settimane. Prima di scrivere cerco sempre di ricordare per non lasciare indietro nulla : guardo le foto, ascolto le canzoni, poi metto tutto da parte e chiudo gli occhi. Con gli occhi chiusi cerco di riportarmi là, rivivendo persino le sensazioni più intime, i desideri, il vento sulla pelle, faccio qualcosa di simile a quella che Stanislavskij chiamava riviviscenza, per far sì che nessun dettaglio vada perduto. Stavolta gli eventi erano così numerosi, densi e aggrovigliati nella mia testa che il tentativo di sbrogliarli ha richiesto ben due settimane. Ma quel che importa, mi auguro, è che ora siamo quaquindi via col racconto!

Santa Marta è una città di mezzo milione di abitanti che si affaccia sul Mar dei Caraibi, ha una temperatura di circa trenta gradi…perenne! (ho già detto che in Colombia non esistono le stagioni, vero?) Insomma, se qualcuno desiderasse vivere al caldo Santa Marta è il posto giusto. È tra l’altro la città più antica del paese e quella in cui morì Simon Bolivar. L’ostello che avevamo prenotato si chiamava The Dreamer, ci era giunta voce che il proprietario fosse italiano e questo mi aveva incuriosito. Lui era riuscito a vivere lì, pensavo : ce l’avrei fatta anch’io?

Ero affascinato dall’idea di vivere dall’altra parte del mondo, mi affascinava l’idea di un luogo esotico dove è sempre estate e puoi fare il bagno 365 giorni all’anno. Può darsi che il fascino fosse accresciuto dal dover rientrare in Italia dopo due settimane, dal fatto che quelli mi sembrano sogni, qualcosa di semplicemente impossibile. E invece, contro ogni previsione, rimasi in Colombia altri nove mesi. Ora posso affermare che andarsene e “rifarsi una vita” è possibile. Che poi sia un bene, non lo so. Non dico di no, ma credo che bisogna fare attenzione a non innamorarsi di qualcosa (qualunque cosa) solo perché pensiamo di non poter averla. Io mi limito a dire quello che nove mesi di sud America mi hanno insegnato : niente è impossibile, se lo desideriamo per davvero.

Ma torniamo coi piedi per terra. Precisamente torniamo ai piedi per terra miei e della mia ragazza, in marcia verso il supermercato per procacciarci del buon cibo. Quel primo giorno a Santa Marta decisi di esprimermi culinariamente e preparai gnocchi gorgonzola e noci. Gli gnocchi li feci con la Yuca che, per chi non l’avesse mai vista, è un tubero fatto più o meno così :

yuca2 Chi ha letto i precedenti spiragli sa quanto già a Villa de Leyva prima e San Gil poi avessi fatto di tutto per trovare una moto. Non mi ero dato per vinto ma devo ammettere che ero ormai un po’ scoraggiato.  E invece, grazie a un colpo di genio della mia ragazza, che scrisse un annuncio su Couchsurfing, finalmente ne trovammo una. Rispose un ragazzo, lo incontrammo, due chiacchiere, due birre e poi, signori e signore (do sempre un nome alle moto) in onore della città che ci ospitava, vi presento Marta : 

Moto Marta3

Come resistere? La mattina dopo partimmo per Palomino percorrendo la lunga strada che, attraverso la regione del Magdalena e della Guajira, porta al Venezuela. La strada è a dir poco stupenda : sulla sinistra il Mar dei Caraibi e sulla destra le vette della Sierra Nevada de Santa Marta. Questa regione, ancora piuttosto arretrata, sta sconfiggendo due mali che da decenni la affliggono : la guerriglia e il paramilitarismo. Anche se il problema non è ancora del tutto debellato (proprio in quei giorni avevano sequestrato due spagnoli), bisogna dire che questi episodi sono ormai rari e praticamente impossibili se si viaggia seguendo le strade principali. Comunque sia, a noi non solo non ci sequestrò nessuno, ma anzi la passammo veramente bene. La strada per Palomino era lunga e bellissima e la velocità ridotta di Marta (che era una 125 non esattamente aitante…) ci permise di assaporare paesaggi, colori e sapori. E per assaporarli meglio, perché non fare una sosta qui?

motopalomino2

Avreste resistito alla tentazione di comprarla? Io no. Proseguimmo poi per Buritaca (impossibile resistere pure alla tentazione di un bel bagno nelle fresche acque del fiume) e finalmente raggiungemmo Palomino, la perla della Guajira. Arrivammo a ora di pranzo e rimanemmo fino al tramonto. C’era una bellissima atmosfera romantica che pervadeva tutto. Nonostante lo sviluppo veloce del turismo, Palomino è pur sempre ancora un piccolo paese costiero, in una zona piuttosto povera, con molta natura, tanto silenzio, persone gentilissime e paesaggi indimenticabili. Ed ecco la spiaggia :

palomino

Ma è possibile per un italiano vivere in un posto così? Questa domanda continuava a frullarmi in testa. Probabilmente si, ma sarebbe stato possibile per me? Avrei cioè rinunciato a tutto ciò che avevo in Italia per trasferirmi in un posto, seppur incantevole, però così lontano?

Avevo bisogno di vedere altri italiani, capire se si erano ambientati, se avevano rimpianti, cosa facevano per vivere. Quindi la sera, rientrati a Santa Marta, andammo alla ricerca di un ristorante italiano di cui ci avevano parlato, in zona Rodadero. Una volta arrivati, cosa ci troviamo di fronte? Un ristorante sardo in piena Colombia :  l’Isola Sarda. Appena entrati uno dei proprietari, Matteo, dopo avermi lanciato un’occhiata indagatrice mi apostrofa così :  tu per caso hai suonato in un tributo a De Andrè a Bologna il 25 aprile?

Rimasi sbigottito : ero in Colombia e mi stavano chiedendo se avevo suonato a Bologna. E il punto è che si, il 25 aprile di quell’anno avevo suonato a proprio a Bologna in un tributo a Fabrizio De André. Matteo, tra tutti i posti in cui si poteva trovare nel mondo, si trovava proprio in Italia, in quella città, in quel locale e all’ora del mio concerto. . Sarà una coincidenza? Esistono le coincidenze? Comunque sia, ottima cena. Per chi ha in programma un viaggio nel Caribe colombiano : non perdetevi Isola Sarda. Elio, lo chef, saprà accontentare i vostri palati per quanto esigenti essi siano. Del resto, di uno che prepara gnocchi di yuca fatti a mano vi potrete fidare…o no? La serata terminò sotto una palma bevendo un mojito nella tranquillità più totale. Rientrati all’ostello però, trovammo una brutta sorpresa : per non aver prenotato la notte successiva avevano preso le nostre cose, le avevano accatastate in due sacchi neri e dato la nostra stanza a due turisti. Per fortuna il ragazzo della reception ci trovò un altro tetto da mettere sopra le nostre teste, quello del mitico Drop Bear Hostel. 

drop bear

Il Drop Bear (nella foto qui sopra) si trova in una casa di ex trafficanti di droga poi adibita a ostello : impossibile non pensare a Libera, l’associazione che da anni riutilizza beni sequestrati alle mafie. Italia e Colombia sono due paesi lontani, ma è innegabile che nel bene e nel male, abbiamo delle cose in comune.

Quella notte prima di dormire ripensai al viaggio di ritorno da Palomino : se c’è una cosa più bella di andare in moto, è andare in moto di notte. E se ce n’è un’altra ancora più bella di andare in moto di notte, è andare in moto di notte in Colombia, con la luna che si specchia nel mare e l’aria tiepida della sera che ti accarezza il viso. Mentre i fari fendevano l’oscurità, la mia ragazza mi disse di aver visto la faccia di un indigeno dentro la luna. Mi colpì molto perchè io sono una persona affascinata dal mistero, dall’irrazionale, ma lei è l’esatto contrario : razionale, scettica, coi piedi per terra. Eppure disse proprio così : un volto indigeno nella luna. Chissà come sarà stato, sarebbe piaciuto anche a me vederlo. Ci sono volte in cui ripenso con tristezza a quel momento, mi piacerebbe tornare indietro e poterlo rivivere, tornare alla magia di quei momenti, quando ancora stavamo insieme. La nostra è stata una storia intensa e bellissima, difficile e splendida, vissuta in un periodo in cui la mia vita è stata attraversata da vere e proprie scosse di terremoto emozionale, avvenimenti che hanno stravolto forse per sempre il mio modo di vedere la realtà. Fino a qualche tempo fa mi prendeva una tristezza lancinante quando pensavo alla fine della nostra storia, ma adesso questo sentimento cupo si è trasformato in qualcosa di diverso. Ora, quando ci penso ha più la forma di una nostalgia, infinita ma dolce e per niente sgradevole. Soffriamo tanto per amore, io ho sofferto per amore più che per ogni altra ragione. Ma la “fine” di questa storia mi ha insegnato qualcosa di nuovo, sento le cose in modo nuovo e metto la parole “fine” tra virgolette perché so che nulla può finire veramente. Ci sentiamo ancora, siamo amici, ci stimiamo e ci vogliamo bene. Nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma, perché l’amore dovrebbe fare eccezione? L’amore è la forma più raffinata e poderosa di energia, non fa per nulla eccezione, anzi, la sua trasformazione non può essere che un dono. Quindi bando alla tristezza! Negli spiragli non c’è tempo né spazio per la tristezza. Ci sono ancora troppe avventure da raccontare, come la quarta parte di questo viaggio, in cui andremo in due dei luoghi più belli mai visti in vita mia : la Sierra Nevada de Santa Marta e l’incredibile Parque Nacional Tayrona. 

E con questo sole che si accinge a tramontare su Palomino, vi mando un arrivederci al prossimo spiraglio.

palominotramonto

L’arte del Chi Kung e la sfericità della terra

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li xiao ming L’immagine qui sopra ritrae Li Xiao Ming, maestro di Chi Kung. Quest’ultimo fine settimana ha tenuto un seminario a Bologna, e dato che da un po ne sentivo parlare (e bene!) ho deciso di non lasciarmi sfuggire l’occasione di partecipare. Entrai in contatto col chi kung qualche mese prima della partenza per la Colombia. Soffrivo di un dolore alla spalla e un amico fisioterapista mi aveva indirizzato da un medico che praticava l’agopuntura. Questi teneva anche dei corsi di chi kung e li dipingeva come utili per la salute, così decisi di provare a praticare.

Ma che cos’è il Chi Kung? 

Spiegato con parole mie, è un’insieme di pratiche di origine taoista che servono a risvegliare ed armonizzare la nostra energia interna, a prendere coscienza del nostro corpo energetico. È costituito da esercizi dinamici, meditativi o sul respiro e può sicuramente essere paragonato allo yoga : quest’ultimo è di origine indiana e il Chi Kung (o Qi Gong) è di origine cinese, ma alcuni aspetti e finalità sono comuni. Ci sono tante “vie” per crescere e migliorarsi : a fianco allo Yoga e alla Meditazione (…o il chi kung) metterei anche cose più “semplici” : passeggiare in mezzo alla natura, coltivare l’amicizia, la musica, l’arte…sono tantissime le attività che ci possono aiutare a conoscerci. Alcune persone preferiscono seguirne una sola, altre amano invece spaziare. Io sono uno di quelli che ama spaziare. Spaziare significa per me vedere le cose da tante angolazioni diverse, mi permette di cogliere delle sfumature che altrimenti non coglierei : in questo seminario mi sono immerso nel mondo del Tao, un mondo che mi affascina e in cui mi sto lentamente addentrando… ma mi ha fatto anche scattare un’intuizione.

È accaduto in un istante, niente più di una riflessione momentanea. Cercando su internet il concetto di cielo posteriore mi è passata davanti agli occhi una frase che diceva, pressapoco, che quando guardiamo l’orizzonte percepiamo la sfericità della terra perché sappiamo che la terra è sferica, mentre i nostri avi la vedevano piatta. In altre parole… la nostra visione della realtà è condizionata da quello che conosciamo di essa.  Allora mi sono detto : chissà quante cose, alla stregua dei nostri avi, percepiamo in un modo scorretto perché non ci sono arrivate le informazioni giuste. Fino al decollo dell’aereo che ho raccontato nel quarto spiraglio ero ancora convinto che stare al mondo fosse un compito decisamente arduo. Da quando atterrai dall’altra parte del mondo, gradualmente, giorno dopo giorno, iniziai a sentire che Vivere non è poi così difficile come pensavo prima. Da un certo momento in poi, mi sono reso conto che la mia vita non era più piatta come mi avevano fatto credere. Una nuova informazione era arrivata ed aveva iniziato a trasformare il modo in cui vedevo le cose e conseguentemente le cose stesse intorno a me! E chissà cosa mi attende…chissà cosa attende tutti noi…cosa saremo in grado di vedere tra un anno, tra un mese, o forse già domani.

Arrivederci al prossimo spiraglio!

La magica arte del buttarsi

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La magica arte di lanciarsi

Un caffè in un bar, un giorno come qualsiasi altro, un computer per scrivere, un cane che fa capolino da sotto un tavolo, persone che alzano lo sguardo, mi osservano e magari pensano: “chissà che cosa starà scrivendo?”

Già. Che cosa scriverò? È un po’ che me lo sto chiedendo, ma forse l’importante è iniziare, lasciar fluire le idee, lasciare che emergano così come emergono gli scogli dalla marea: scolpiti dall’acqua, perfetti. Eppure, fino ad un attimo prima, invisibili. Quindi, voglio partire da questa domanda: perché é così difficile lasciarsi andare al nuovo? Forse perché siamo affezionati alla nostra routine? Perché amiamo la comodità? Non vogliamo abbandonare la nostra zona di confort? 

Dice il detto: chi lascia la via vecchia per la via nuova, sa quel che lascia ma non sa quel che trova. Esiste pure una versione spagnola di questo proverbio, che recita: mejor malo conocido que bueno por conocer”. Ovvero: meglio una cosa negativa, ma conosciuta, di una nuova che non conosciamo. Insomma: una versione ancora più estrema di quella italiana. E così, pure per me intraprendere questa avventura del blog è un passo verso qualcosa di nuovo, di ignoto, è una via nuova, non è qualcosa di “conocido”, è qualcosa “por conocer”.

Prima del Primo Spiraglio ho iniziato tante volte a scrivere, poi smettevo, cancellavo tutto, ci riprovavo. Alla fine ce l’ho fatta. Ed ora, eccomi di nuovo qua. E scusatemi se sto tergiversando, se ci giro intorno, se condivido con voi le mie difficoltà. Ma forse, se state leggendo queste parole, è perché pure voi avete, da qualche parte nascosto negli angoli più remoti della vostra mente (e del vostro cuore) un progetto, un’idea, qualcosa che volete realizzare e non avete ancora realizzato.

Quindi… come si fa?

La soluzione, credo, sta nella magica arte del buttarsi.

Quando ero piccolo, avevo paura a tuffarmi. I miei mi spingevano a frequentare noiosissimi corsi di nuoto e il mio terrore più grande, erano quei maledetti ultimi dieci minuti in cui c’erano i tuffi.

L’istruttore si chiamava Marco. Era bravo, non mi forzava. Così, dopo un po’ di volte in cui tutti si tuffavano ed io rimanevo a bordo vasca, ci provai. Ma solo raggiunto il bordo mi resi conto che mi sarei dovuto lanciare per davvero. Cercavo di avere coraggio, ma non ci fu niente da fare. Non ci riuscii ed andai via piangendo, deciso a convincere i miei a non portarmi mai più a nuoto.

Ma quando tutto sembrava ormai perduto, Marco mi raggiunse negli spogliatoi e mi disse alcune semplici e fondamentali parole che non dimenticai mai: più ci pensi, più sarà difficile. Buttati e basta. 

Così difficile, così facile. La volta successiva mi buttai. Un attimo prima ero a bordo vasca, un attimo dopo le mie braccia si infilavano trionfalmente nell’acqua, poi la testa e poi tutto il mio corpo di bambino di sei anni raggiante di gioia. È bastato un solo tuffo, a far passare la paura.

Ogni tanto mi ritorna, poi penso alle parole di Marco l’istruttore e mi lancio. E vedo che lo stesso succede in tutto il resto: nel lavoro, in amicizia, in amore e persino con il blog. Intraprendo o meno questa nuova attività? Rivolgo o no la parola a questa ragazza che mi attira? Lo faccio o non lo faccio? Più ci penso, più diventa difficile.

E quindi eccola ancora, applicata a questo post, la lezione: non ci penso! Scrivo e basta! Ho iniziato dicendo che non sapevo cosa scrivere…eppure, buttandomi, le cose sono venute da sole. Non so se belle o brutte, utili o meno utili, fatto sta che il secondo articolo, che per tanti giorni sembrava quasi impossibile ora è già quasi finito.

Non importa quanto ancora ti sembri incompleta la tua idea, il tuo progetto, il tuo sogno. Sicuramente dentro di te ci sono già molte cose splendenti di luce che non riesci a vedere. Forse se leggi queste parole è perché, come me, inizi a intravedere qualche spiraglio della loro luce.

In fondo, si tratta solo di esercitare la magica arte del buttarsi.

Grazie per avermi letto, e arrivederci al prossimo spiraglio.